Sì, un biplano, esatto.

Ce n'era bisogno?
No, ovviamente no.
"Un uomo senza blog è come un pesce senza bicicletta" dice più o meno il saggio e questi sono tempi in cui ci sono più blog che uomini, pesci e biciclette messi insieme.
E allora?
E allora eccomi qui a fare un altro ennesimo blog nascosto tra i milioni di altri blog. Perché sì. Perché io ho una passione, male comune nella razza umana, e leggere quei pochissimi blog esistenti su questa mia inusuale passione mi ha dato l'energia per arrivare in fondo, mi ha dato emozioni tali che un infermiere potrebbe scambiare per sintomi di epilessia.
Così ecco questo blog: uno tra i tantissimi blog, ma uno tra i pochissimi a parlare di biplani.
E non dei biplani degli eroi o dei pilotoni con carte di credito placcate d'oro. No.
Sono un impiegato, ho una famiglia, ho come tutti mandrie di simboliche nuvole nere che tolgono il sole e a volte mi fradiciano: se ci sono riuscito io può riuscirci chiunque. E un blog che racconta una storia simile non l'ho mai trovato, e se l'avessi trovato, caspita!, mi avrebbe reso felice.
Ho una chance di rendere felice qualcuno, come non approfittarne? :)
Quindi iniziamo: "C'era una volta un biplano..."

venerdì 4 settembre 2015

1. Le premesse.

OK, sono d'accordo: non bisogna divagare.
Quelle che servono sono informazioni precise, dati e condivisione dell'esperienza. E una dose di storie che facciano esclamare un wow, anche a bassa voce non importa.
Ma questo blog un po' è anche un diario personale, un racconto, così dovrò tenere un equilibrio.
E, cosa importante, essendo un racconto sono obbligato a iniziare dal principio.

Le premesse sul "da piccolo sognavo di volare" le evito. Ho fatto subacquea, come dice Douglas Adams, perché la subacquea è la sensazione più simile al volo che ci sia. E già. Ho letto tonnellate di pagine di Richard Bach, a volte mi ha fatto sognare e a volte mi ha fatto storcere la bocca ma l'imprinting me l'ha dato il romanzo che preferisco, letto al momento giusto nel periodo migliore della mia vita: Illusioni. Era il 1983, io da buon classe '64 ero in piena maturità (odontotecnica, sigh), avevo una ragazza procace e inquietante con cui provavo scientificamente che vivere era una gran bella cosa, stavo per cambiare il mio Sinclair ZX81 con un fantascientifico Spectrum 48K, avevo la patente fresca di stampa e il mondo era un luogo magnifico dove parcheggiarsi. Ecco, questo è lo scenario.
Qui entra in gioco Illusioni, una meravigliosa storia di biplani e vita da senzatetto privilegiati alla scoperta del fatto che l'intero mondo è un gioco, una illusione, una palestra dove possiamo essere e fare ciò che ci serve. Ancora adesso questa visione della realtà mi piace da matti, a diciott'anni figuriamoci mi faceva impazzire di gioia.
E così il biplano diventa il simbolo della libertà, del volo, della realizzazione di qualcosa di superiore.

1994. L'Università, scrivere fantascienza, disegnare, giocare ad AD&D, finito il servizio di leva, conosciuta la meravigliosa ragazza che sposerò. Un altro anno magico. Che c'entra con la nostra storia? C'entra: vedo una pubblicità, corsi di parapendio in una settimana a Castelluccio di Norcia. Parapendio. Al tempo alla parola parapendio seguiva la parola che?, erano materassini colorati rettangolari molto kitch. Ma era volare.

Cinque giorni a Castelluccio, amore al primo staccare i piedi dalla collina, l'adrenalina e la sensazione di pace shakerate insieme, i voli al tramonto in restituzione termica sulle colline arancioni, quando sembra di scivolare sull'olio lenti sino a terra. Beh, si scendeva velocemente a terra, ma era volare, sì, proprio volare.

Passano gli anni, le vele diventano più belle e più performanti, faccio altri corsi e volo poco ma sempre. Ora la vela non scende più lenta, molto spesso sale, si sta in aria delle ore viaggiando tra i monti. Può esistere nulla di più bello?
Nel '97 dopo aver scritto parecchi racconti e qualche romanzaccio di fantascienza decido di scriverne uno per cercare di spiegare l'emozione prepotente e assoluta del volo. Primo problema: non posso descrivere un volo in parapendio, pochissimi avrebbero saputo cos'è un parapendio. Parapendio che? Dovevo usare un mezzo volante egualmente romantico e avventuroso ma più conosciuto.
Il biplano andava benissimo.
Scrissi una storia su questo mezzo, di cui non sapevo assolutamente nulla tranne quello che avevo letto nei libri di Richard Bach. Vogliamo dirla tutta? Non credevo nemmeno che esistessero più i biplani. Magari in qualche museo, come le Ford T, i treni a vapore e il telegrafo a fili.
Scrissi Il biplano e la cometa, racconto che tornerà in questa storia più tardi. In realtà era solo un pretesto per riempire pagine di "oh quant'è bello volare".

La famiglia, il lavoro, la mancanza di amici parapendisti vicini. Una passione non dura a lungo così. Non volo più poco, no: volo pochissimo. Sembra idiota dirlo ma un volo in parapendio quasi sempre impone un amico che ci recuperi dove siamo atterrati, a valle, per riportarci dove siamo decollati, in montagna, visto che è lì che abbiamo lasciato l'auto. E di amici masochisti non ce ne sono molti.
Fino a un volo in Toscana in cui mi sono goduto di più la passeggiata con lo zaino della vela sulle spalle che il volo nervoso e turbolento, tanto da farmi dire "sarà bello ma quasi quasi basta. O lo si fa bene o lasciamo perdere".

E poi è successo il miracolo.
In un mio racconto, chiamato appunto Il miracolo, c'erano dei protagonisti in una civiltà sempre più tecnologica, sempre più persi nei loro mondi digitali, che solo quando accade il miracolo di un black-out e l'energia manca, solo in quel momento in cui perdono tutto ciò che li aveva intrappolati hanno una possibilità di tornare se stessi.
Il mio miracolo è stato simile.
Non sto a spiegarne i motivi, sarebbe fuori luogo, ma per un black-out nella mia vita intorno al 2010 avevo perduto la famiglia, la casa, ogni considerazione professionale, avevo perduto gli amici più cari e una diagnosi mi dava meno di dieci mesi di vita. E la cosa più triste di tutti questi orrori: avevo perduto ogni sogno. Io che avevo passato tutta la vita tra sogni da realizzare e progetti in esecuzione ero senza punto di riferimento, come andare senza una bussola in un deserto tutto uguale.
Tanto valeva fermarsi.
Ma non mi andava di fermarmi.
Piuttosto decisi di capire a cosa tenevo di più, usare questo sogno come bussola e uscire dal black-out.
In fondo la realtà è un'illusione, no? Lo diceva Bach. E se è un'illusione sarei riuscito a far diventare il sogno che avevo scelto una bussola.
Quindi ecco il collegamento: il biplano mi avrebbe portato fuori. Il biplano, che racchiude l'amore per il volo, l'avventura, il romanticismo, la ricerca della verità. Ancora credevo che i biplani non esistessero più da decenni e anche se fossero esistiti ero sempre un semplice impiegato con troppe spese ma dovevo pur aggrapparmi a qualcosa, no?
La verità? Non mi fregava un granché né di volare né dei biplani. Ma dovevo fare finta, era la terapia, me l'aveva ordinato il dottore che abbiamo dentro e che parla poco ma quando parla va ascoltato.

Ecco, qui comincia la storia. Da zero al biplano.
E la racconterò pian piano fino ad arrivare al presente, dopodiché la storia diventerà un diario.