Sì, un biplano, esatto.

Ce n'era bisogno?
No, ovviamente no.
"Un uomo senza blog è come un pesce senza bicicletta" dice più o meno il saggio e questi sono tempi in cui ci sono più blog che uomini, pesci e biciclette messi insieme.
E allora?
E allora eccomi qui a fare un altro ennesimo blog nascosto tra i milioni di altri blog. Perché sì. Perché io ho una passione, male comune nella razza umana, e leggere quei pochissimi blog esistenti su questa mia inusuale passione mi ha dato l'energia per arrivare in fondo, mi ha dato emozioni tali che un infermiere potrebbe scambiare per sintomi di epilessia.
Così ecco questo blog: uno tra i tantissimi blog, ma uno tra i pochissimi a parlare di biplani.
E non dei biplani degli eroi o dei pilotoni con carte di credito placcate d'oro. No.
Sono un impiegato, ho una famiglia, ho come tutti mandrie di simboliche nuvole nere che tolgono il sole e a volte mi fradiciano: se ci sono riuscito io può riuscirci chiunque. E un blog che racconta una storia simile non l'ho mai trovato, e se l'avessi trovato, caspita!, mi avrebbe reso felice.
Ho una chance di rendere felice qualcuno, come non approfittarne? :)
Quindi iniziamo: "C'era una volta un biplano..."

martedì 21 maggio 2019

12. La prima volta di Paolo

Ho fatto un blog su come scegliere un biplano ma ce ne dovrebbe essere uno più importante ancora: il blog su come scegliere il proprio compagno d'hangar. Certo, ci sono hangar singoli, ma costi a parte il bello del volo con questi meravigliosi mezzi è la condivisione: se si insegue un sogno è bene puntare al massimo e in questo caso il massimo è avere per compagno d'hangar un altro biplanista, simpatico, propositivo, con un aereo piccolino e facile da muovere e che magari riempia l'hangar di cose utili dicendo poi "usale quando vuoi". Hehee. Più raro di un idraulico la sera di Natale, eh?
Non ho fatto un blog simile perché tale compagno d'hangar perfetto m'è capitato: è Paolo. Paolo De Vita, che a vederlo deborda simpatia come un animatore di villaggi turistici per aviatori e solo quando si mette la divisa graduata dell'Aeronautica viene il sospetto che in realtà si guadagni da vivere differentemente.

Beh, compagni d'hangar così vanno condivisi. Ecco perché gli ho chiesto "Paolo, scriveresti qualche riga per il blog dove racconti qualcosa?" Per avere da lui un punto di vista differente, un consiglio differente dai miei. E lui ha scritto qualche riga, che ripropongo con piacere qui perché quello che racconta contiene un insegnamento essenziale, un dato di fatto assurdo eppure indiscutibile.
Paolo racconta di che fine fanno i problemi. Quelli che prima del decollo ci attanagliano, quelli che prima dell'acquisto di un biplano ci bloccano, quelli che anche gli attori conoscono prima che il sipario si apra e lo spettacolo cominci. Quelli capaci di bloccarci prima che quel sipario si tolga da davanti e lo spettacolo sia cominciato. Ecco che fine fanno.

Grazie Paolo.




Eh sì, la domanda: “ma chi te lo fa fare?” riecheggia ancora nella mia testa quando ripenso al giorno in cui mi sono infilato per la prima volta nel Boredom Fighter per effettuare il primo volo da solista.
  Solista… In realtà non c’è mai stato un volo in coppia, ossia istruttore più pilota. Per il semplice fatto che il Boredom Fighter è monoposto!
  Biplano, biciclo e monoposto… e se hai letto il Blog del mio compagno di hangar Gianni Sarti (se ami il volo e i biplani non puoi non averlo letto) sai che questi 3 fattori complicano un pochino le cose.
  In realtà per fortuna ne avevo fatta di esperienza su un biciclo, biplano e pure biposto, per cui mentre ero seduto comodamente nell'abitacolo mi sentivo piuttosto preparato, il problema è che non credi mai di esserlo, anzi spesso pensi proprio il contrario.
  E se non riesco a tenerlo in pista? e se non riesco a decollare perché peso troppo? e se non basta la pista? e se non so atterrare? e se c’è un eclissi solare proprio quanto stacco le ruote? …Eh sì di domande te ne fai tante, di situazioni paradossali poi te ne crei ancora di più. Peccato che quel giorno non avevo ancora finito di leggere “Illusioni” di Bach, avrei avuto in tasca buona parte delle risposte alle mille domande!

  L’atterraggio: era quella la fase che più mi aveva dato da pensare nei giorni addietro; con un biplano biposto ero atterrato decine e decine di volte prima di fare il solista, adesso invece dovevo “inventarmi” io l’atterraggio perché proprio non l’avevo mai visto! anzi veramente non avevo visto niente, nemmeno il decollo!
  Fatto sta che mentre seguo questi pensieri già sono arrivato al punto attesa: prova motore, prova magneti, check strumenti, tutto ok. Vado.
  Sono talmente concentrato a tenere l’asse pista e a guardare l’anemometro e giri motore che non mi accorgo che il mio “Indiano” mi ha portato già in volo.
  Te ne accorgi perché ad un tratto tutto diventa improvvisamente silenzioso, ascolti solo il sibilo del vento… E poi il colpo di fulmine.
  Mi prenderete per pazzo ma è stato come non sentire più la minima differenza tra me e il biplano. Non capivo più dove finivano le mie mani e iniziava la cloche, le gambe con la pedaliera, sembrava che su quel biplano avessi volato già migliaia di ore, chissà che in un'altra vita forse già eravamo stati insieme, in un altro mondo, su un altro asteroide. A proposito di asteroide, “l’essenziale è invisibile agli occhi” e ad un tratto in volo c’era tutto l’essenziale ed era ben visibile.

  Il volo è la dimensione del vento e dell’aria e se non voli nel modo più vicino gli uccelli, ossia con il vento sul viso… si può dire? O faccio pubblicità occulta? …godi solo a metà.

Paolo