Sì, un biplano, esatto.

Ce n'era bisogno?
No, ovviamente no.
"Un uomo senza blog è come un pesce senza bicicletta" dice più o meno il saggio e questi sono tempi in cui ci sono più blog che uomini, pesci e biciclette messi insieme.
E allora?
E allora eccomi qui a fare un altro ennesimo blog nascosto tra i milioni di altri blog. Perché sì. Perché io ho una passione, male comune nella razza umana, e leggere quei pochissimi blog esistenti su questa mia inusuale passione mi ha dato l'energia per arrivare in fondo, mi ha dato emozioni tali che un infermiere potrebbe scambiare per sintomi di epilessia.
Così ecco questo blog: uno tra i tantissimi blog, ma uno tra i pochissimi a parlare di biplani.
E non dei biplani degli eroi o dei pilotoni con carte di credito placcate d'oro. No.
Sono un impiegato, ho una famiglia, ho come tutti mandrie di simboliche nuvole nere che tolgono il sole e a volte mi fradiciano: se ci sono riuscito io può riuscirci chiunque. E un blog che racconta una storia simile non l'ho mai trovato, e se l'avessi trovato, caspita!, mi avrebbe reso felice.
Ho una chance di rendere felice qualcuno, come non approfittarne? :)
Quindi iniziamo: "C'era una volta un biplano..."

mercoledì 16 ottobre 2019

13. Portiamolo a casa

E torniamo a noi.
Stavolta andiamo un po’ avanti con la storia. mi serve per presentare gli argomenti utili a chi sta pensando che in fin dei conti non è così assurda l’idea di vedersi dentro il proprio biplano.

Così eravamo arrivati al momento in cui avevo un tubi e tela bianco e arancione. Un aereo biciclo e nessuno in grado di darmi una mano a imparare a pilotarlo. Beh in realtà ancora c’erano tante promesse: ma sì poi ti faccio vedere io, ma certo un giorno voliamo insieme, ma dai conosco uno che ti mette a disposizione il suo biciclo per imparare. Bello bello. Tutte chiacchiere ma ancora non lo sapevo.
Nel momento in cui – toh! – appare l’annuncio del piccolo biplano monoposto venduto esattamente alla cifra che avevo in tasca non mi preoccupo più del fatto che da un anno ho un tubi e tela che ha volato pochissimo perché ancora non so atterrare con un biciclo, ho le chiacchiere che mi promettono che presto imparerò: quindi si parte subito a vedere il biplano in Sicilia. Con un tecnico che aveva la mia fiducia ovviamente e quindi mi sono fidato del suo “va benissimo, compralo e volalo”.  Spoiler: lo sappiamo, vero, che poi ci ho dovuto lavorare mesi per metterlo in sicurezza, sì? Sto imparando a dosare con molta tirchieria la fiducia ai tecnici. Parliamone a fine post.

Abbiamo già detto che un biplano che ci piace troppo è un acquisto azzardato perché presi dalla passione non vedremo la realtà. E quel Fisher 404 mi piaceva davvero troppo. Sembrava l’aereo di Topolino col carciofo del paracadute sopra, un giocattolone colorato. Mi piaceeeeva.

Così è venuto il momento di saldare e portare il mezzo a Roma.
Nella mia mente era logico: lo si porta in volo. L’aereo vola, quindi si va in volo. Fosse stata una barca l’avrei portata navigando, no?
Sbagliato. Lo stesso ex proprietario me l’ha sconsigliato. Così come ora lo sconsiglierei a chiunque.
Perché?
Perché sarebbe il primo volo. Un conto è passare un paio di settimane sul posto e imparare a volarlo con calma, imparare a conoscerlo, e poi si può pensare al volo.
Ma anche così non lo consiglierei: un aereo di seconda mano, come abbiamo visto, ha per principio una serie di problemi da sistemare prima di essere reputato affidabile. Perciò non basta saperlo pilotare bene, e no, bisogna passarlo tutto al lanternino insieme a qualcuno davvero in gamba per poter dire “ecco, ora è affidabile”.
Io non sapevo pilotarlo, nemmeno riuscivo ad atterrare con un biciclo senza sfasciare un carrello, e volevo portare un aereo mai controllato lungo una rotta che non conoscevo per mezza Italia: hehee, l’ottimismo è un conto, qui siamo nell’idiozia.

Allora: come si porta un aereo?
Sì, perché i biplani sono così pochi che il giorno in cui troverai il tuo biplano in vendita quasi sicuramente sarà davvero lontano da casa tua.

Il vantaggio del monoposto è innegabile: è piccolo.
Ho noleggiato un furgone Iveco Daily Gran Volume, ho ringraziato qualunquecosasia di avere un eccezionale amico disponibile a venire con me e in possesso di una lista di patenti mai vista prima, e via per la Sicilia. Un giorno a smontare le ali e i piani di coda del biplano segnando con scotch di carta ogni cosa, poi caricare il tutto nel furgone insieme a polistirolo e coperte e scoprire che ci entra per pochi centimetri, e infine via verso Roma!
Il momento bello è stato quando eravamo sullo Stretto. C’era un traghetto, nel traghetto un furgone, nel furgone un aereo. Non so perché ma questa cosa di scatole cinesi mi piace da matti.
A Roma: scaricare, consegnare il furgone, rimontare. Totale: tre giorni, mille euro tra noleggio, benzina, pernotto e cibo. Posso dire di essere stato fortunato.

Ma se l’aereo fosse stato biposto?
Ecco, allora sarebbe stato un problema.
Esistono carrelli aperti per le barche o altro da agganciare dietro la macchina (una macchina con un buon motore ovviamente) ottimi per caricarci su tutto l’aereo, con le ali smontate e appoggiate lateralmente alla fusoliera, ma trovare un’anima pia che abbia il carrello e ce lo metta a disposizione è impossibile. Ovviamente una volta trasportato il mezzo ci sarà una folla di persone che diranno “Ma caspita, me lo potevi dire che ti prestavo io il carrello!” e questo non fa bene all’umore.

Se l’aereo è in condizioni di volare si può cercare un pilota esperto che per una cifra non eccessiva si prenda la briga di portarlo a destinazione in volo. Molti fanno così. Ma questa per me è decisamente l’ultima delle soluzioni, per due incontrovertibili motivi: primo, l’aereo appena acquistato va comunque controllato tutto ma proprio tutto prima di fargli fare un volo impegnativo, alla faccia di quello che dice il proprietario, altrimenti il nostro pilota esperto rischia la vita al posto nostro. Secondo, se l’aereo viene ritenuto idoneo a volare allora davvero qualcun altro, per di più pagato da me, deve prendersi il piacere unico del primo vero volo di trasferimento, dell’occasione di conoscere il mezzo mentre lo si accompagna alla sua nuova casa? Scherziamo? Il mio amico Mila ancora ricorda il suo volo più bello: quando ha portato il suo mezzo appena comprato e rimesso a posto dalla Germania sino in Emilia Romagna. Io ricordo il mio volo perfetto: quando ho portato per la prima volta il mio secondo biplano dal Veneto, dove era stato mesi sotto l’occhio di un tecnico mentre io imparavo a conoscerlo in volo, sino al Lazio.

C’è una sola eccezione alla regola del non far volare ad altri il proprio aereo per portarlo a casa: quando è l’ex proprietario a dire “te lo porto io”. In tal caso lui lo conosce, ci ha volato, sa bene lo stato di sicurezza dell’aereo e il fatto di portarlo lui in volo è la dimostrazione che l’aereo è davvero a posto come dice. No, tranquillo, poi ci saranno senza dubbio altre cose che non vanno quando comincerai a guardarlo da vicino, funziona così.
Io quando poi ho venduto il piccolo Fisher siciliano, all’acquirente che voleva smontarlo e caricarlo su un furgone per portarlo a Grosseto ho detto che sarei stato felice di portarglielo io in volo, mi fidavo del mio aereo e non avevo problemi, anzi, mi sarei goduto l’ultimo bellissimo viaggio. Ho insistito perché mi saldasse l’aereo solo dopo la consegna per correttezza perché in effetti ogni volo ha i suoi rischi e se avessi avuto problemi nel recapitarglielo poi si sarebbe trovato ad aver pagato un aereo danneggiato. Ma tanto mi fidavo davvero molto del mio aereo, aveva avuto gli ultimi controlli del tecnico che avevo portato in Sicilia… Ach, tecnico che per la fretta oltre a varie mancanze di attenzione regolò in maniera asimmetrica gli alettoni. C’era turbolenza e vento e continuavo a dare la colpa dell’assetto di volo un po’ storto al meteo, chi avrebbe pensato che il tecnico avesse fatto un errore così idiota solo per la fretta di farmi partire, che gli serviva liberare il posto nella sua officina. 

Torniamo al problema del trasporto.
La soluzione più piacevole quindi sarebbe quella di prendersi del tempo, portare un tecnico per controllare lo stato del mezzo e un meccanico per accertarsi dell’efficienza del motore, imparare a conoscere il mezzo con voli progressivi e infine staccare le ruote e affrontare il volo verso casa magari con un amico che ci affianca col suo aereo. Ma questa è la soluzione più difficile da realizzare.
La soluzione più pratica è quella di convincere l’ex proprietario a fare lui il trasporto in volo, dicendogli che visto che ha ripetuto mille volte che l’aereo è a posto e pronto a volare, questa è l’occasione per dimostrarlo. Però se si ha a che fare con un motore a due tempi le cose cambiano, molte persone non vogliono fare viaggi lunghi col due tempi e lo stesso ex proprietario potrebbe essere dispostissimo a stare sei ore in volo sopra la sua aviosuperficie ma negarvi l’idea di affrontare un’ora e mezza di viaggio per portarlo lontano. 

Comunque il piccolo biplano, ribattezzato Melody da mia figlia, arrivò via terra alla sua nuova casa a Sutri e ancora ho un video del suo uscire dal furgone e venire montato. Un giocattolo.

Dovrei parlare un attimo dei tecnici.
La cosa più importante da sapere è di non sapere. E se non sai devi rivolgerti a chi sa. Quindi un tecnico. Uno che conosce i materiali, le forme, l’aerodinamica, le riparazioni, i punti deboli.
Nell’Aviazione Generale, dove tutto è certificato e standardizzato da procedure, i tecnici sono divinità e le loro parcelle sono le parcelle di divinità.
Nel VDS, dove al confronto tutto sembra essere fatto per gioco, i tecnici quasi sempre sono persone che per la legge sono tutt’altro. Disoccupati, impiegati, persone che non hanno studiato affatto per fare quel mestiere ma che pian piano ci si sono trovate e ogni bacino di volo ha il suo riferimento, spesso senza concorrenza.
Frequentemente il lavoro di un tecnico viene criticato da un altro tecnico, “guarda quel pazzo cosa ha fatto al tuo aereo, ma vuole farti precipitare?” e chi non sa rimane esterrefatto.
Scegliere un buon tecnico è più importante che scegliere un buon istruttore.
Evidentemente il tecnico di cui mi ero fidato, e che comunque è portato sugli allori da altri piloti, consigliandomi frettolosamente l’acquisto del Fisher senza valutare davvero il mezzo e facendomi passare poi l’inferno per le riparazioni che gli avevo chiesto sino a mettermi in difficoltà costringendomi a volare via dalla sua officina con l’aereo non collaudato in un giorno di meteo avverso e con gli alettoni montati male è stato un tecnico discutibile.

Non ho una formula per capire se un tecnico meriti fiducia. O meglio non l’avevo sino a un mese fa. Quando mi capitò una cosa che da sola merita un post e grazie a questo evento inaspettato ho conosciuto un meccanico certificato, tecnico pignolo come tutti i tecnici dovrebbero essere, che come unico mestiere lavora sugli aerei; e ho visto i mezzi con cui vola, perché un tecnico che non vola col suo mezzo è come un barista che non beve caffè: diffidane. Ho visto che quando si trova di fronte a un aereo prima cerca di capirlo, poi affronta il problema con l’anamnesi, fa test comparativi che inducono a ragionamenti, formula una diagnosi e da lì alla terapia precisa il passo è breve. Un dottore insomma. Uno che pensa a quello che fa e fa quello che pensa. E nel frattempo spara battute. Sarò strano io ma considero chi spara battute più intelligente degli altri: anziché ponderare solo il lato serio della cosa apre la mente e osserva anche gli altri aspetti non logici, perciò con una tale inclinazione sarà più facile per lui elaborare soluzioni non ovvie.

Quindi un buon tecnico, o un buon meccanico, secondo me deve farlo a tempo pieno, deve avere un furgoncino da lavoro che gli permetta di portare i suoi strumenti dove serve la sua opera, deve volare, deve avere mezzi volanti che siano il suo biglietto da visita, deve ascoltare e ragionare e fare battute e infine deve perdere tempo con particolari dell’aereo non inerenti al problema che sta riparando. Sì, perché non perde tempo solo chi fa un lavoro per soldi, mentre il fermarsi davanti all’aereo a esaminarlo come fosse una pin up oltre a indicare la necessaria pausa per il ragionamento (esiste una parola ebraica, Selah, che indica la pausa per riflettere) indica anche che si prova passione per quello che si fa. Il buon tecnico inoltre dice “Aspetta, ti aiuto io” se ti vede in difficoltà, non attende che lo chiami col prezzario in mano. Ultimo: il buon tecnico dice di no quando lo ritiene opportuno, non accetta tutti i lavori, e un tecnico davvero in gamba rifiuta i lavori che non lo appassionano. Ecco, se trovi una persona così fagli un monumento.
Ebbene sì io l’ho trovata, dovrò attraversare mezza Italia per far fare la manutenzione al mio biplano attuale ma santo cielo sarà l’occasione per sgranchire le ali.

E ora che mi sono inimicato il 90% dei tecnici passiamo al prossimo argomento.